L’altra faccia del greenwashing

Riflessioni sulla motivazione che sta alla base della raccolta di contributi e donazioni per i nostri progetti di sport sociale
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Introduzione

Il tema delle sponsorizzazioni etiche, degli investimenti in azioni di utilità sociale, del più ampio concetto della responsabilità sociale di impresa è oggetto di grande attenzione. Ne ho già parlato relativamente allo sviluppo del tema aziende e sport sociale e oggi ci torno per sviluppare considerazioni un po’ romantiche ma che in realtà hanno grande rilevanza sul percorso di sviluppo delle strategia delle aziende e soprattutto degli enti no profit e dei progetti che ricevono le erogazioni liberali e le sponsorizzazioni.Sabbiamo bene quanto sia rilevante per un progetto di sport sociale ottenere supporto economico, quanto valga avere contribuzioni svincolate da bandi e procedure, quanto possa valere affiancarsi a brand di aziende. Proprio queste motivazioni sono quelle su cui ragionare perchè può capitare che ci inducano in alcuni errori di valutazione o che arrivino ad anteporsi ai motivi originali per cui si è scelto di dare vita ad un progetto.

Nell’ambito del rapporto tra aziende ed attività di utilità sociale, si tende ad accendere la luce sulle motivazioni delle aziende a fornire supporto, aiuto e contributi giudicandone spesso il comportamento. In sostanza si tende a mettere in discussione il reale desiderio dell’azienda di sostenere un determinato progetto, si preferisce pensare che dietro a tanta benvolenza ci sia solo il desiderio di apparire più buoni, più attenti al mondo, con il semplice obiettivo di migliorare la propria reputazione. Difficile dire se sia davvero sempre così o stabilire quando sono solo motivazioni di facciata a muovere le attenzioni di un’azienda ad investimenti etici.

Trovo però utile sviluppare un ragionamento che accenda la luce sull’altro lato della medaglia, ovvero su chi i soldi ha tutto l’interesse ad averli per le proprie attività, capire e approfondire motivazioni e comportamenti legati al corporate giving aziendale.

Che cos’è il green washing

Come riporta Wikipedia:

Greenwashing è un neologismo indicante la strategia di comunicazione di certe imprese, organizzazioni o istituzioni politiche finalizzata a costruire un’immagine di sé ingannevolmente positiva sotto il profilo dell’impatto ambientale, allo scopo di distogliere l’attenzione dell’opinione pubblica dagli effetti negativi per l’ambiente dovuti alle proprie attività o ai propri prodotti.

Come si evince da questa definizione, il termine è stato coniato negli scorsi anni quando l’attenzione sulla sostenibilità era prevalentemente ambientale, il concetto però oggi è da estendersi anche alle azioni di sostenibilità sociale. Ad esempio contributi a cause umanitarie allo scopo di ottenere strumenti e possibilità per raccontare a clienti, fornitori e stakeholder il proprio “finto” o superficiale sostegno. Magari tali azioni sono nettamente in antitesi con la prassi di governance aziendale relativamente all’attenzione alle condizioni di lavoro dei propri collaboratori.

La definizione di wikipedia parla in generale di opinione pubblica ma il fenomeno è da considerarsi anche a livello comunitario di aziende della piccola media impresa e non per forza multinazionali.

La CSRD

In questo articolo puoi leggere un altro racconto sul tema delle donazioni e della strategia di impresa, anche qui parlo di CSRD, una nuova normativa europea voluta proprio per regolamentare e disciplinare il Corporate Giving con l’istituzione di prassi funzionali a limitare il fenomeno del green washing.

Si tratta di una recente normativa denominata appunto CSRD che introduce nuovi obblighi per le aziende circa l’assunzione concreta di comportamenti responsabili.

I Beneficiari delle donazioni

Dall’altra parte dell’erogazione liberale ci sono gli enti no profit, le ONG, gli Enti del terzo settore, le società sportive. Molte di esse, soprattutto quelle più strutturate, hanno veri e propri settori dedicati al corporate fundraising, ovvero ad attuare strategie di impresa per raccogliere donazioni dalle aziende e integrarle in un proprio disegno manageriale. In questi casi le aziende intercettate sono spesso grandi aziende di dimensione nazionale o addirittura multinazionale. Diverso è per i soggetti più modesti che per dimensioni di attività e progetti integrano la funzione del fundraising all’interno del settore comunicazione o del management stesso. in entrambi i casi il supporto economico proveniente dalle aziende è rilevante, l’avere un partner che contribuisca economicamente rappresenta un grande valore. Su questo elemento verte la mia riflessione odierna. Se da un lato abbiamo compreso come il green washing sia una pratica la cui responsabilità in capo alle aziende donatrici, la raccolta di donazioni è una responsabilità che ricade sui soggetti no profit o di terzo settore. In questo caso può succedere che, mossi dal bisogno di supporto economico, si accolgano contribuzioni da aziende che stanno spudoratamente cercando un’azione di green washing. Oppure può succedere che accogliamo sponsorizzazioni, donazioni, supporto da aziende che poco centrano con il nostro progetto o la nostra causa sociale. Senza entrare nel merito del giudizio di questa cosa, nei giorni scorsi ho proprio pensato che, sul tema dell’eticità delle sponsorizzazioni, si punta il dito sulle aziende deresponsabilizzando totalmente chi, dall’altra parte, riceve le loro contribuzioni.

Riflessioni proattive

Il motivo per cui ho scelto di parlare d questa cosa è perchè penso che il primo passo sia prendere consapevolezza di questo processo. Indipendentemente dallo scambio economico, una partnership è un’occasione, un’opportunità per lavorare e crescere con qualcun altro. Trovare partner è sempre stimolante e utile a sviluppare fasi e processi dei propri progetti e delle proprie attività. Diventare consapevoli che sia dal lato del donatore che beneficiario si può ragionare sulla funzionalità dello scambio di valore è un atteggiamento che trovo molto utile, io nel mio piccolo cerco di metterlo in atto. Riporto qui di seguito alcuni step che cerco di seguire nello sviluppo dei miei rapporti di partnership.

  • progettare insieme:
    La partnership, prima dello scambio economico, è un’occasione per progettare insieme, per poter mettere nell’azione che si sceglie di condividere spunti e contributi di tutte le parti. Da questo approccio nascono poi contenuti di comunicazione più autentici. Sono quelli che le aziende cercano per poter poi raccontare le loro attenzioni sostenibili. Lo sport sociale, da questo punto di vista si presta tantissimo, offre molte possibilità per poter creare storie e vivere esperienze condivise. Possiamo andare oltre l’esposizione del logo.
  • valore sociale
    Focus della partnership può essere il valore sociale che si persegue con l’azione sostenuta e profusa. Ci si unisce per produrre valore sociale. Anche in questo caso si ottiene maggior autenticità, lato azienda per raccontare il proprio sostegno, lato nostro per acquisire forza di propulsione.
  • Fare matching con le cause sociali
    Per evitare di farci attrarre solamente dalla dimensione economica dello scambio possiamo fare una ricerca e quindi proporci a tutte quelle aziende e realtà filantropiche che, tra i loro valori, promuovo quelli sovrapponibili o più vicini alla causa sociale del nostro progetto sportivo.
  • Non sono soldi tuoi
    Quando riceviamo una donazione, un contributo, utilizziamo soldi di altri. Altre persone o realtà privare hanno scelto il nostro progetto per raggiungere degli scopi, noi li utilizziamo per quello. Pensare in questo modo ci responsabilizza, ci dissocia del mero valore economico dei soldi raccolti e ci focalizza maggiormente su ciò che serve fare per raggiungere gli scopi.

Attenzioni

Ricevere donazioni comporta la necessità di curare una serie di attenzioni alla relazione che si va a creare con il donatore. In molti casi nasce prima e viene coltivata nel tempo sia durante che dopo il rapporto legato alla contributo economico. Tra le mie esperienze l’aspetto più rilevante a cui prestare attenzione è la prevaricazione. Nell’ambito del rapporto di partnership è bene che ambo le parti sviluppino una relazione paritetica in cui viene riconosciuto ad entrambi il valore portato nelle scambio. La forza in un rapporto collaborativo non sta nella dimensione o nel potere del singolo partner sull’altro me nella possibilità, insieme, indipendentemente dai valori ponderali, di generare valore grazie all’unione e alla collaborazione. Grande o piccolo, il singolo partner, senza la controparte sarebbe limitato o depotenziato.

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