Imprenditoria sociale… in cerca di nuove frontiere

L’innovazione sociale è pronta ad accogliere tutto ciò che il sistema imprenditoriale è in grado di condividere
Indice

Premessa

Occuparsi di no-profit mi ha spesso generato sensazioni di discomfort relativamente alla dimensione del denaro.

Una falsa credenza che diffonde la convinzione che trattandosi di no-profit ci si trova in un contesto in cui si appiattiscono valori professionali, costi, possibilità di carriera, strategie di marginalità. Allo stesso modo la percezione di un no-profit “fallato” se si occupa di vendita di servizi…

Mi sono chiesto anche cosa e come e si potesse operare per modificare questa percezione e questo stato delle cose.

Una cosa utile può essere iniziare a cambiare la narrazione.

Possiamo, ad esempio lavorare sulle definizioni, cosa è no-profit? cosa invece può essere etico ma basato su logiche imprenditoriali? cosa può essere imprenditoriale a supporto di azioni no-profit? etc…

Quindi agiamo sulle definizioni e magari spieghiamo sempre meglio com’è il funzionamento sotto all’etichetta, il progetto, il modello di attività sportiva che sosteniamo e sviluppiamo.

In questi giorni sto proprio pensando a questo, cambiare narrazione, o meglio dettagliarla, integrarla per risultare più chiaro, coerente e congruente.

Il controsenso del “sostenibile”

Credo nel modello imprenditoriale, penso che una strategia per potenziare il welfare ai giorni nostri sia studiare e sperimentare pratiche in cui tutto ciò che può essere il valore derivante da impostazioni, competenze e approcci tipicamente manageriali, possa essere messo a disposizione della creazione, del sostegno e del potenziamento del valore sociale.

Riteniamo folle che un imprenditore sviluppi business in perdita. Lui per primo analizza tutti i possibili scenari per poter agire con il minor rischio possibile, per poi applicare azioni e strategie che gli consentano di contenere il più possibile i costi e massimizzare i ricavi.

Di base, i ricavi devono sempre superare i costi.

Tale approccio potrebbe essere salvato e scritto sulla pietra ma non solo per il mondo profit, anche per tutte le realtà non profit.

La differenza tra le due è che, nel secondo caso, si obbliga al reinvestimento totale delle marginalità in azioni e attività funzionali al perseguimento dello scopo sociale.

In genere, se approfondiamo, le realtà no-profit perseguono scopi socialmente utili, si muovono in ambiti in cui è più complesso commercializzare ovvero vendere bene i servizi. Per questo nascono le agevolazioni su tasse e costo del lavoro. Elementi che, se apparentemente sembrano facilitare, in realtà rendono più complesso il concetto, lo allontanano dalla sua franchezza: i ricavi devo superare i costi. Sempre più, infatti, tra i criteri premianti che troviamo nei bandi e nelle gare di appalto destinate ai progetti di utilità sociale, c’è la richiesta di descrivere “la capacità di sostenibilità economica”, ovvero quanto il progetto sia in grado di provvedere economicamente alla copertura dei propri costi in modo da poter durare nel tempo.

Modello della progettazione VS modello imprenditoriale

La possibilità di durare nel tempo, come prima cosa, sta nel sistema di funzionamento che noi forniamo al progetto. Si tratta quindi dell’approccio che noi manager, imprenditori sociali sportivi, definiamo per il nostro progetto di sport sociale. Lo “fabbrichiamo” con questa possibilità o meno.

Quindi significa che si tratta di un’attitudine molto legata a chi promuove l’idea e l’azione progettuale.

Anche un progetto profit deve poter durare nel tempo, gli elementi da curare saranno diversi ma l’attenzione di chi lo progetta e ne cura la realizzazione deve essere la medesima, puntare al medio lungo periodo.

Sono arrivato a racchiudere in due macro ambiti le modalità di approccio ai progetti sportivi sociali, il modello della pragettazione e il modello della imprenditoriale.

Il primo agisce in relazione alla possibilità di copertura finanziaria e, spesso, è reattivo rispetto ai bisogni segnalati dal sistema tramite evidenze pubbliche: avvisi pubblici, bandi, contributi. Ovvero si crea un’azione progettuale, più o meno in linea con le finalità statutarie del nostro ente, si scrive un progetto e lo si candida per ottenere un finanziamento. Nella sezione dedica a presentare la strategia di sostenibilità si ipotizza una modalità che poi, nella quasi totalità dei casi, non viene nemmeno abbozzata concretamente perché si agisce in relazione alla durata del finanziamento, ovvero al termine di copertura del budget. Approccio che molti considererebbero prudente, saggio, coscienzioso… ma che di fatto oltre a non aggiungere valore sociale alla comunità, rischia di attivare servizi e di lasciarli sospesi (vero elemento che io personalmente considero, la responsabilità sociale che dobbiamo prenderci nell’erogare un’azione progettuale).

Il modello imprenditoriale invece agisce con logiche che valorizzano le caratteristiche dell’azienda sociale che eroga l’azione. Il progetto sportivo nasce in pancia all’azienda/ente/società, ne rappresenta missione, visione e valori, nasce a prescindere da avvisi pubblici, bandi e opportunità estemporanee. Nella sua concezione deve contemplare anche il come poter provvedere a è stesso nel lungo periodo quindi a immaginare, ideare e testare quei meccanismi che possano diventare i pilastri della propria sostenibilità.

Si cura fin da subito di capire come i ricavi potranno sostenere i costi.

Nei miei contenuti e interventi live promuovo sempre la cultura del modello ibrido, che ha il contro di richiedere un’attenzione ed un’applicazione multilaterale ma garantisce al nostro progetto di poter ambire a durare nel tempo in modo sempre più autonomo e svincolato. Così facendo sarà più facile dare seguito all’impegno socialmente responsabile perché riusciremo a dare continuità al valore portato ai nostri beneficiari.

Il rischio imprenditoriale nel sociale

Esiste, è il medesimo delle attività commerciali, si calcola cercando di capire come, nel tempo, i ricavi possano superare i costi, quanto tempo ci metteranno e, se le cose dovessere complicarsi chi e come si prenderà la responsabilità. Concetti totalmente sovrapponibili, una sostanziale differenza è il perchè farlo: a parità di indice di rischio imprenditoriale, cosa porta gli imprenditori a prendersi la responsabilità quasi esclusivamente per i business profit piuttosto che per quelli etico/sociali e non profit. La tipologia di ricompensa è considerata più motivante, da un lato c’è il guadagno, il valore economico, il possesso… dall’altro il valore sociale, il riconoscimento civico, la condivisione e la relativa possibilità di poter godere anche noi del valore generato.

Ognuno può fare le proprie considerazioni, nessuna scelta è giusta nè sbagliata, sono modalità differenti. Probabilmente serve fare un po’ di cultura sul sistema imprenditoriale sociale, ampliare la narrazione affinché possa essere maggiormente conosciuto, dettagliato, compreso e praticato.

Un piccolo assist che mi sento di fare è legato alla frammentazione del rischio. Analizzato il rischio imprenditoriale sociale di un particolare progetto, considerato che, nel caso di funzionamento avremo un apportato valore sociale condiviso, si può considerare di frammentare il rischio tra più soggetti: un pezzettino per uno.

Soluzioni proattive

In realtà è bene dire che si può scegliere liberamente se procedere o semplicemente avvicinarsi al sistema dell’imprenditoria sociale. Nulla impone di cambiare approccio, di abbandonare il modello della progettazione e di passare radicalmente a quello imprenditoriale.

Possono esserci modalità funzionali almeno ad integrarlo nel nostro agire e nel considerarlo tra le possibilità per perseguire uno scopo. Ecco alcuni spunti funzionali a modificare il nostro approccio per favorire una nuova presa di coscienza.

  • Studiare. Le nostre azioni e soprattutto le modalità con cui costruiamo le soluzioni alle necessità della vita, seguono schemi noti, consolidati e in cui ci sentiamo sicuri. spesso il rinunciare ad intraprendere specifiche strade è legata ad una mancanza di informazioni o ad una nostra ignoranza in materia. Un po’ come la paura del buio che spaventa perchè cela l’ignoto. Informarsi, studiare, approfondire nuovi saperi accende qualche luce e offre la possibilità di sperimentare nuovi procedimenti. Formiamoci continuamente e studiamo come funziona l’imprenditoria applicata al sociale.
  • Segmentare il fabbisogno. Altrimenti detto: mangiare l’elefante a pezzi. Ci sono ambiti del sociale enormi, vasti che, se analizzati nel loro complesso, ci sembrano solo una grande matassa aggrovigliata in cui si fatica a trovare un punto sensato di partenza. Si pensa anche che si debba considerare l’insieme. In realtà si può prendere un pezzettino, il nostro, quello più confacente alle nostre peculiarità, implementare un progetto di sport sociale che lavori su quello specifico tema.
  • Metodologia “AGILE”. Una strategia per portare il rischio di impresa al minimo possibile è quello di rinunciare al grande successo immediato e lavorare per fasi intermedie e sottomedie di sviluppo. Versioni minime che testate e rese funzionanti possono rappresentare la base per aggiungere gradualmente nuovi pezzi progettuali. Il Precedente consolidamento offrirà un’affidabilità tale da consentirci di testare i nuovi avanzamenti. In questo modo gli eventuali sbagli di rotta potranno essere assorbiti dall’ottima base. Lavoro in funzione dello scopo produttivo. Se lo scopo è muoversi, il primo prototipo non deve essere una macchina, la sua produzione costa troppo e in caso di errore è molto probabile che io fatichi a trovare fondi per ripogettarla. Per muoversi parto dalla skateboard, poi lo trasformo in mono-pattino, poi in bicicletta, poi in motorino… etc.

Conclusioni

Se è tanti anni che ti occupi di sport e/o di Innovazione sociale mi rendo conto che sia difficile lasciare la strada vecchia per quella nuova e abbracciare di impulso il sistema dell’imprenditoria sociale per rendere più efficace la tua azione.

Difficile accogliere una nuova prospettiva se sconosciuta o, ancor di più, culturalmente collocata in una posizione differente nel nostro vissuto. Mi riferisco all’imprenditoria sociale come nuovo strumento rispetto al più noto sistema della progettazione.

Oltre ai consigli di studiare, segmentare e attuare una metodologia AGILE, è fondamentale garantirsi un contesto di pratica quotidiana, una modalità che ci costringa a applicare possibili soluzioni. Per questo ho creato lo Stage di pratica. Un percorso di apprendimenti in affiancamento costante e immerso nello Sport sociale. Leggi gli approfondimenti a questo link, potrai partecipare agli incontri di presentazione.

In questo modo potremo ragionare-facendo e stimolarci a ricercare le soluzioni imprenditoriali più sostenibili per offrire allo sport sociale un processo di sviluppo rilevante e capace di creare valore.

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