Ho raccolto alcune mie sensazioni/intuizioni su cosa potrà riservare il 2023 in tema di “sport e terzo settore”
Stanno succedendo cose che iniziano a farci percepire come “nuova area”, quella dello sport e del terzo settore concepiti insieme, uniti. La storia si sviluppa con i suoi tempi e, intanto, gli accadimenti prendono forma e si definiscono. Mi riferisco a due grandi fenomeni in corso di attuazione quotidiana.
- la sempre maggiore affermazione e definizione di “SPORT e SALUTE” come organismo con una sua affermata identità dai contorni definiti che la identificano e la differenziano dal CONI e la presentano sempre più associata al dipartimento dello sport.
- l’attuazione delle 2 grandi riforme che quasi simultaneamente arrivano a normare i cambiamenti del mondo no-profit e dello sport (mi riferisco alla riforma del terzo settore e a quella dello sport). Come ben sappiamo le norme arrivano in seguito al manifestarsi di cambiamenti ed evoluzioni proprio per disciplinare qualcosa di nuovo e di evoluto.
Queste due evidenze creano uno spazio professionale da presidiare: serviranno persone, enti e, soprattutto COMPETENZE…
Ritengo che sarà richiesta una nuova professionalità, i servizi erogati da chi sceglierà di scendere in questo campo potranno e dovranno confrontarsi con alte aspettative in termini di prestazioni di welfare.
Saranno meno le giustificazioni che si sono sempre concesse al mondo del no-profit. Ora c’è la possibilità di erogare prestazioni di “Terzo settore” in un campo che può avere mercato e che quindi si espone a quelle logiche prestazionali e di aspettativa qualitativa. Il vantaggio competitivo rispetto al mondo esclusivamente commerciale di chi ha una vocazione welfare oriented sono le soft skills specifiche, quelle innate, la sensibilità e l’empatia.
Il territorio andrà messo al centro della progettazione degli scopi sociali del singolo ente e delle progettualità condivise.
Servirà che le realtà concentrino le proprie energie realizzative sul territorio, sulla comunità, sulla prossimità, per favorire cambiamenti e impatti di medio periodo: questo, a mio avviso, potrà essere una chiave di successo. Questo approccio renderà concreta la dimensione progettuale sia per chi sarà impiegato nelle attività, sia per chi vorremo coinvolgere a supporto delle iniziative. La dimensione di riferimento in cui portare valore sarà il welfare territoriale.
Tra i rischi, discretamente imminenti, vedo il collasso delle piccole realtà locali, resistenti al cambiamento, ancorate a principi un po’ obsoleti e conservatori: “noi esistiamo dal millenovecento e quindi è giusto che qualcuno ci sostenga per sopravvivere”; “La nostra funzione sociale è importante e quindi qualcuno deve aiutarci”; “Ci servono nuovi volontari e nessuno ci aiuta a trovarli”…
Altro rischio che vedo è l’approccio reattivo, ovvero la realizzazione di progetti, iniziative, impegni solo in funzione di un motivo temporaneo apparentemente di valore. Un tipico esempio è l’ideazione di un progetto in risposta ad un bando con il solo scopo di ottenere un finanziamento. Questo approccio, già limitante in passato, sarà ancor più penalizzante prossimamente se non supportato da una visione di scopo di medio lungo e addirittura lunghissimo periodo.
Chi potrà fare la differenza? Le persone! In questo caso specifico mi riferisco a tutti coloro che avranno piacere, voglia e risorse interiori, per prendersi un pezzo di responsabilità. Addentrarsi tra i bisogni sociali per SINTETIZZARLI e misurarne i RISCHI al fine realizzare una iniziativa INNOVATIVA.
Un ottimo modo per cominciare, verificata la propensione personale a determinati bisogni e scopi sociali, è quello di acquisire informazioni, studiare e migliorare le proprie conoscenze e competenze.
Buona anno Sociale a tutti.