Recentemente, tra le letture e i contenuti a cui ho dedicato tempo, ho approfondito il tema del welfare di comunità.
Un contenuto declinato sulle aziende e sui loro insediamenti locali. Il concetto di attenzione è che oggi un’azienda per poter esprimere a pieno il proprio potenziale ed il proprio valore deve essere progettata e condotta come una sistema aperto, in dialogo totale con l’ecosistema di cui fa parte. Comunità locale, clienti, fornitori, dipendenti, stakeholder in generale. Affinché la reputazione dell’azienda sia buona è necessario da parte del suo management un’attenzione a 360 gradi all’interazione con i sistemi che rappresentano l’intero network di contesto. Una base di orientamento funzionale e necessaria, per crescere e svilupparsi in modo armonico e con il consenso allargato dei propri stakeholder (clienti compresi).
Attualmente sono nate all’interno delle aziende ruoli e figure a cui vengono assegnate queste funzioni da svolgere, CSR manager, Sustenabilty Manager, Responsabili Welfare, etc…
Nel riflettere su questi contenuti riesco ad immaginare l’azienda che agisce in questa direzione, redige ed emana linee programmatiche di direzione.
Poi si arriva al territorio, al contatto con la realtà e con la dimensione dell’attuazione. Questo prevede inevitabilmente un’interazione con il contesto sociale che, lato cittadini, si configura in relazioni umane, in contatti e scambi tra individui.
Dalla relazione azienda/cittadini può dipendere la buona riuscita dell’intenzione di fare politiche di welfare che portino benefici al contesto territoriale.
Se attivo lo zoom e metto a fuoco il particolare, vedo quindi una persona che, indipendentemente dal ruolo che ricopre, dall’ente che rappresenta e dal ritorno che può avere, si interessa per trasformare questo potenziale in un beneficio per la propria comunità.
Se dal lato azienda, questo procedimento è figlio di una politica aziendale, quindi di mansioni di resposnabilità legate a ruoli e obiettivi, dal lato comunità è solo un pontenziale che rimane tale fino a che una persona, percependone valore e potenzialità, sceglierà di “metterlo a terra”.
Si tratta, come sempre, di una mia interpretazione personale, frutto di esperienze quotidiane che mi portano a raccontare in questo modo l’attuazione di una politica di welfare aziendale di comunità.
Ecco qui una nuova missione per un “Angel” che esattamente come nella promozione del volontariato, trova una nuova possibilità di essere utile e di corroborare la sua missione di contributo.
Di valore anche la possibilità poi, intercettata l’intenzione aziendale, di orientarne gli indirizzi verso azioni e obiettivi vicini ai propri, magari di tipo sportivo/sociale.
Per comprendere meglio le prime caratteristiche che mi sono immaginato per un “Angel” clicca qui: https://coachdiquartiere.it/
Se vuoi approfondire il tema dell’attuazione del welfare aziendale scrivi pure nei commenti.